
CLAUDIO COSTA, 1942 – 1995
Claudio Costa nasce a Tirana ma si trasferisce a Chiavari da bambino, dove frequenta le scuole. Nel 1961, si trasferisce a Milano per frequentare la Facoltà di Architettura al Politecnico. Nel 1964, grazie ad una borsa di studio, parte alla volta di Parigi dove trascorre cinque anni di grande importanza per la genesi della sua poetica: conosce Marcel Duchamp, i fermenti dei movimenti giovanili del maggio ’68 e della scena artistica francese. Rientra in Liguria, a Rapallo, nel ’69 e la sua prima personale (La vela e altro) si tiene in quell’anno alla Galleria La Bertesca a Genova. In questo contesto si colloca l’incontro con Francesca e Massimo Valsecchi, che seguono da allora con attenzione il percorso dell’artista. La stagione delle Craneologie, esposte dal 1970, è legata allo studio del cervello umano e della paleontologia, che riscuote interesse presso Lucio Amelio a Napoli e Dieter Hacker a Berlino. L’artista è già un formidabile aggregatore di ricerche e personalità; attorno a lui gravita la galassia Fluxus (Robert Filliou, Erik Dietman, George Brecht). Il suo impegno teorico è dichiarato con Evoluzione-involuzione (1972), testo che inserisce l’uomo in una catena evolutiva fatta di errori e di indeterminatezza. Le opere di questi anni sono segnate da un’attenzione crescente ai temi antropologici, fino a Per un inventario delle culture (1975), mostra che si tiene nella galleria di Massimo Valsecchi a Milano. Qui ricompare Il Museo dell’Uomo, opera capitale di Claudio Costa, che funziona come una dimostrazione teorica della possibilità di “involuzione” per le civilizzazioni che alterano, con la tecnologia, un rapporto empatico con la natura.
Il passo seguente della ricerca di Costa è il lavoro su Monteghirfo, dove fonda un “Museo di Antropologia Attiva” che conserva gli oggetti della cultura materiale contadina nelle madie, risemantizzandoli come ready-made. Un’altra mostra nella galleria di Massimo Valsecchi, accompagnata da un’essenziale elaborazione teorica, presenta questi avanzamenti (Materiale e metaforico, 1977). Nello stesso anno, partecipa a Documenta 6 e si trasferisce a Genova.
Nel ’78 ha inizio il periodo alchemico, che si concluderà nel 1986, con la partecipazione alla sezione “Arte e alchimia” curata da Arturo Schwarz alla Biennale di Venezia. Anche in questa fase proseguono le mostre nella galleria Valsecchi (L’inafferrabile circolazione dell’umano, 1981; Mobile (Il Museo dell’Uomo), 1982; Il Fantasma dell’Opera, 1984). In questo sondare instancabile, un ulteriore versante è offerto dalla psichiatria, con un coinvolgimento di pazienti affetti da disturbi psichici nella produzione di opere d’arte, all’interno dell’ospedale psichiatrico di Quarto, dove Costa co-fonda l’Istituto per le Materie e le Forme inconsapevoli (1989).
L’ultima fase è invece segnata dai viaggi in Kenya, in Uganda e in Senegal che Costa compie a partire dal 1990. Un progetto mai realizzato è quello di fondare un altro museo, il Museo Infinito delle possibilità e delle comunicazioni tra europei ed africani: Costa muore precocemente nel 1995, lasciando in eredità un bagaglio di opere e ricerche fra i più stimolanti del secondo Novecento italiano.

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