Il cervello come situazione. Mappa cranica n. 2

1970

CLAUDIO COSTA, 1942 - 1995

Con quest’opera Claudio Costa avvia un lavoro artistico che lo porterà a indagare “il mondo misterioso dell’evoluzione delle forme umane”. Fa parte del ciclo delle Craneologie.

NEL DETTAGLIO

Descrizione

Un giorno, quasi casualmente, in una rivista medica, trovai alcune radiografie del cervello umano, che mi interessarono molto. Da questo tipo di immagini, avvicinandomi così, in un modo tutto particolare alla Scienza, trassi una serie di lavori intitolati: “Craneologie”. Il Cervello sotto processo: spaccati, sezioni, funzioni, punti di sutura, circonvoluzioni celebrali. Il cervello sul letto. Il cervello acido. Il cervello sul muro. Il cervello che riflette sé stesso… Credo di essere incinto del mio cervello.

[…]

Intanto, il mio interesse si era spostato verso quello che, una volta, era stato il cranio e il cervello dell’uomo: la Paleontologia, Scienza che si serve grandemente dell’immaginazione, mi faceva scoprire il mondo misterioso dell’evoluzione delle forme umane.

(Claudio Costa, Materiale e metaforico. Sintomatologie sul work in regress, Genova, UNIMEDIA, 1979, p. 33)

 

In questo testo autobiografico, millenovecentosessantotto millenovecentosettantotto (indicazioni su una metodologia di lavoro), capitale per intendere il primo decennio di attività di Claudio Costa, l’artista contestualizza il suo interesse per la scienza e la paleontologia. Veniva da un’esplorazione di “materiali” – amido, grafite, fotocopie, colla di pesce e acidi – che potevano accelerare le trasformazioni della tela o della carta da disegno. Ora il cervello gli offriva la possibilità di creare “mappe”, quasi trasportabili, veri e propri oggetti di ricerca che permettono di verificare le reazioni chimiche prodotte da acidi e solfati.

 

Gli acidi sono stati gli ultimi “materiali” sui quali ho indagato, in forma diretta, per la loro utilizzazione.

Adoperavo tre acidi e un solfato: l’acido nitrico, che impiegato puro, corrodeva quasi istantaneamente il supporto su cui era versato, creando aloni giallastri; il percloruro di ferro, che avevo tanto impiegato per incidere le lastre di zinco o rame e che dava una colorazione brunastra; l’acido cromico, anch’esso usato per certi tipi di incisione dei metalli; il solfato di rame che mi ricordava il colore stupendo assunto dalle vigne, quando ne vengono cosparse, e mi occorreva per ottenere una base bluastra.

Li versavo direttamente sulla tela o sulla carta da disegno, o immergendo queste in quelli, o stendendoli coi pennelli: la mia intenzione era quella di modificare, in qualche modo, il supporto-tela o il supporto-carta impiegato. Le tele erano, a volte, tese dietro telai di ferro che presto arrugginivano, o erano inchiodate su telai di legno con angoli di ferro. Usavo graffe metalliche per tenere insieme strati di tele o di carte, imbevute da diversi acidi, che, per assorbimento, si mescolavano e si amalgamavano e che, essendo igroscopici, continuavano nel tempo a variare la loro colorazione e lo stato del supporto.

(Claudio Costa, Materiale e metaforico. Sintomatologie sul work in regress, Genova, UNIMEDIA, 1979, pp. 32-33)

Nel ciclo delle CraneologieIl cervello come situazione parte da una rappresentazione scientifica del cervello dove sono numerate le aree responsabili delle facoltà, delle emozioni, degli istinti o delle percezioni. Da questa geografia si sconfina verso una progressiva perdita di leggibilità, ottenuta con l’uso di acidi o di amido. Una tela cucita sul supporto interrompe questa sequenza, come se l’irruzione della materia pura possa guadagnare lo stesso statuto dei disegni o delle corrosioni. Il risultato è un’opera sperimentale, che sta all’origine della carriera di un artista sempre incline a mettere in discussione i suoi avanzamenti